Liberi di credere è una grande fiaba. Tra i vari elementi in essa dominanti ne cito d’istinto almeno tre: il potere evocativo della Natura, il deserto, la magia di Siwa, l’Egitto; l’amore terreno, colmo di sofferenze eppure magico, enigmatico, carico di vita; l’amore di Dio, che pare essere il mare in cui tutto sfocia e tutto si ricompone in armonia e unità, gioie e dolori, luce e buio, giorno e notte. Liberi di credere è una grande fiaba perché dalla prima all’ultima pagina si respira aria di grandezza, come fosse la stessa mano di Dio a tesserne arcanamente la trama. L’ultimo elemento cui voglio far cenno evince dal distrarre lo sguardo dal romanzo per posarlo sulla realtà contemporanea. La fiaba è come un fiume che scorre dentro gli argini dell’amicizia, della cordialità, del fascino di viaggiare, attraversando luoghi, usanze, e, soprattutto, persone cariche di umanità pronte a dare, a darsi. Il tutto, tra i meandri delle varie culture, religioni, colori. In questo senso Liberi di credere non è solo una grande fiaba d’amore, terreno e mistico, ma anche il segno letterario di una pace possibile.
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